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La Ricerca in Italia: sempre meno finanziamenti dal governo

La fuga di cervelli italiani all’estero, la perdita di competitività rispetto agli altri paesi del mondo, sono solo alcune delle conseguenze più allarmanti innescate da un governo che investe sempre meno fondi nella ricerca italiana, che, seppur mantenendo un alto livello di prestigio internazionale, necessita comunque di un nuovo impulso, soprattutto economico. A mancare, naturalmente, sono diverse condizioni, da quelle strutturali, infrastrutturali a quelle finanziarie, finalizzate allo sviluppo delle ricerche, al reclutamento dei giovani ed al riconoscimento professionale dei ricercatori.

Una ricerca italiana, definita da Giorgio Parisi, fisico italiano di fama mondiale, dell’Università La Sapienza di Roma, sempre più “povera”. E i dati non smentiscono la preoccupazione dello scienziato: dal 2008 a oggi, infatti, i fondi stanziati dal governo italiano per il finanziamento universitario sono diminuiti del 20% (a inflazione costante). Si tratta, per la maggior parte, di denaro utilizzato per pagare gli stipendi dei ricercatori e dei professori universitari. Tagli che hanno naturalmente bloccato il turnover, facendo perdere ben 10mila posti di lavoro (tra docenti andati in pensione e non sostituiti e ricercatori emigrati all’estero).“I fondi per i Prin (Progetti rilevanti di interesse nazionale) si sono ridotti, in media, di un terzo: quest’anno ammontano appena a 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca.

Esiste quindi un significativo divario rispetto agli altri paesi sviluppati che va colmato, portando l’Italia ad un livello di finanziamento stabile confrontabile con quello degli altri paesi occidentali. Basti pensare che il bilancio annuale dell’Agenzia della ricerca scientifica francese, corrispondente ai Prin italiani, si attesta su un miliardo di euro l’anno. È per questa ragione che Giorgio Parisi ha pubblicato una lettera sulla rivista Nature e una petizione su Change.orgper invitare l’Unione Europea a fare pressione sui governi perché mantengano i finanziamenti alla ricerca oltre il livello di sussistenza”. Un appello che in pochi giorni ha raccolto moltissime firme.

Gli investimenti del governo in ricerca: 2,5 miliardi

Il Primo maggio il governo, in particolare il Cipe ha approvato 2,5 miliardi  per il Piano Nazionale per la Ricerca e 1 miliardo sui beni culturali. E, sempre dal Cipe, è arrivato il semaforo verde allo stanziamento di 290 milioni per programmi a sostegno di imprese e crescita. Numeri che comunque non rassicurano molti, convinti che l’Italia rischi inevitabilmente di restare ancora lontana dagli standard europei per la ricerca, tra risorse certe deficitarie e fondi aggiuntivi tutti da verificare.

Attualmente, come spiega Leopoldo Nascia –noto Ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Statisticaci vorrebbero almeno due miliardi di euro in più all’anno, oltre ai finanziamenti ordinari, per raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati”. Il nostro Paese spende l’1,31% del Pil in ricerca e innovazione, abbondantemente sotto la media Ue di 2,01%. L’obiettivo per il 2020 è quello di salire fino all’1,53%. Nel Pnr è indicato questo target, ma non c’è nulla di concreto per raggiungerlo”.

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