Per chi, lavoratore dipendente pubblico e privato, intende chiedere un prestito, la formula della cessione del quinto, è semplice e comoda, rispetto ad altre soluzioni poiché prevede il rimborso del capitale con addebito direttamente sullo stipendio mensile. Ma: se non si volesse ‘rivalere’ su questo ultimo? Si può avere un prestito-cessione del quinto attraverso il TFR, cioè il trattamento di fine rapporto maturato nel corso della propria attività da dipendente, appunto.
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Stipendio integro e ‘tesoretto’
Dunque, lo stipendio mensile rimane come è, ma è possibile avere una cifra in più attingendo al ‘tesoretto’ (o almeno presunto tale) della liquidazione, considerando che proprio quest’ultima è essenziale per richiedere il prestito, visto che funge da garanzia relativa alla cessione del quinto per la durata del finanziamento stesso. Si tratta di quella cifra maturata cui gli istituti finanziari guardano per concederlo anzi, ne è l’elemento cardine. Tanto è vero che, se il dipendente per qualche ragione perde il lavoro, causa licenziamento o pensionamento, ad esempio, è la sua ex amministrazione a doversi fare carico di versare all’istituto bancario cui è stato chiesto il prestito la cifra del TFR pari all’estinzione del credito, al netto degli interessi. Ecco che ritorna proprio il discorso del TFR ‘garantista’, se le cose si mettono male, per diverse ragioni, visto che rimane sempre il capitale su cui ‘rifarsi’. In caso di insolvenza del dipendente, l’istituto che ha concesso il prestito preleva sul suo TFR fino all’estinzione. Diciamo che con la cessione del quinto tramite la buonuscita è come ci fosse a disposizione uno stipendio aggiuntivo (che è un anticipo della liquidità maturata nel corso degli anni), poiché la somma che si ottiene comunque non deve superare il quinto dello stipendio mensile, come regolato dalla normativa.
Contratto a tempo indeterminato e company
Ma quali sono le clausole per accedere a tale soluzione? Prima di tutto, il dipendente deve avere un contratto di subordinazione a tempo indeterminato e deve lavorare nella stessa azienda da almeno 8 anni continuativi.
Inoltre, questo prestito si può chiedere solo una volta, ricordando che maggiore è il TFR accantonato, maggiore sarà l’importo che è possibile ottenere. Anche se non si può chiedere una cifra oltre il 70% di quanto accumulato.
Perché? Questo lo stabilisce l’articolo 2120 del codice civile che disciplina il trattamento di fine rapporto e ne definisce il contenuto. In particolare è la legge 297/82 a limitare l’anticipo del TFR nella misura massima del 70% dell’importo maturato in azienda.
Ma sappiamo tutti cosa è esattamente il TFR? Si tratta di una somma che racchiude una cifra pari a una retribuzione mensile all’anno moltiplicata per tutto il periodo lavorativo. Ad esempio, se al mese lo stipendio è di 1.200 euro, per i primi otto anni il lavoratore avrà accumulato una cifra pari a circa 9.600 euro: potrà quindi richiedere un prestito sulla liquidazione fino a circa 6.720 euro, il famoso 70%.
Spese da giustificare
E ancora: la cessione del quinto per mezzo del TFR è in realtà un prestito finalizzato, nel senso che vanno bene precisate le motivazioni per cui va richiesto, che devono essere molto giustificate, soprattutto perché, se il datore di lavoro non ne è ‘convinto’, potrebbe non accogliere la richiesta.
Tra le spese sono comprese sicuramente quelle sanitarie- mediche-ospedaliere (e qui c’è necessità di documentare attraverso certificazione con carta intestata e timbro da parte delle strutture sanitarie coinvolte, poiché il lavoratore non deve aver già sostenuto le terapie, questo non è infatti un rimborso), l’acquisto della prima casa (pure per figli non solo per se stessi), il congedo per maternità o paternità, corsi di formazione per l’acquisizione di diploma-laurea o master. Sono contemplati pure periodi di aspettativa ‘volontaria’.
In proposito, serve anche sottolineare che sull’anticipo vanno pagate le tasse. Ad esempio, per le spese sanitarie queste sono pari al 15%. sull’importo erogato, cifra che si riduce dello 0.3% per ogni anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari fino a oltre il 15esimo anno e fino ad un’aliquota del 9%. A proposito di aliquota: quella applicabile all’importo di TFR anticipato è pari al 23%.
Mix tra banca, azienda, lavoratore
Poiché è il datore di lavoro che deve effettivamente decidere la fattibilità del prestito per poi ‘passare’ la richiesta all’isitituto bancario-finanziario (e la sua ovviamente deve essere un’azienda ‘sana’, nel senso che realmente metta da parte la liquidazione dovuta ai suoi dipendenti e non sia ‘disinvolta’ su tale versante…), bisogna che non più del 10% dei suoi collaboratori richieda tale soluzione, numero che non deve superare il 4% dei dipendenti totali. Ciò si capisce soprattutto per quanto riguarda le imprese piccole, al fine di evitare di depauperare quella che comunque resta una importante fonte di finanziamento. Inoltre, in base al vecchio statuto dei lavoratori, in teoria se l’azienda ha più di 16 dipendenti, il rischio di un eventuale licenziamento, con quindi una interruzione del credito, è minore.
Bilanci e dimensioni
Importante: l’istituto che dovrà dare l’ok per il prestito e che entra in diretto contatto con l’azienda del lavoratore in oggetto, ne verifica i bilanci e le dimensioni: in proposito, vale anche il cosiddetto coefficiente assicurativo, una sorta di lasciapassare circa l’affidabilità finanziaria dell’azienda stessa, ed è rappresentato dal rapporto tra TFR maturato e montante del finanziamento (cioè il prodotto di rata e durata residua in mesi).